DIVIETO DI LICENZIAMENTO

 

Prorogato fino al 17 agosto per giustificato motivo oggettivo

 

Il D.L. 34/2020, per contrastare gli effetti dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, ha prorogato fino al 17 agosto 2020 il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, introdotto dall’art. 46 del DL n. 18/2020.

 

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota n. 298 del 24 giugno 2020 ha fornito chiarimenti in merito alla portata del divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, tra cui anche il licenziamento per inidoneità sopravvenuta alla mansione.

 

Valutazioni aziendali post pandemia

Le aziende stanno valutando le iniziative da intraprendere nel caso di proseguimento dell’emergenza economica, soprattutto con riferimento al periodo autunnale, anche con progetti di ristrutturazione e/o riorganizzazione. Questi processi rischiano di coinvolgere anche il personale, tramite operazioni di riduzione, finalizzate a compensare gli effetti dell’emergenza sul piano economico e finanziario, sulla produzione, e con lo scopo di contenere i rischi di dissesto dell’impresa.

Il divieto di attuare licenziamenti individuali è prorogato fino al 17 agosto (salvo ulteriori differimenti) per giustificato motivo oggettivo (Legge 604/1966) e di avviare procedure di licenziamento collettivo (L. 223/1991), mentre non si applica ai licenziamenti disciplinari per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, cioè a quei licenziamenti fondati su gravi o gravissime violazioni dei doveri di legge e di contratto che ledano in modo irrimediabile il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore. Ugualmente, sono esclusi dal divieto i licenziamenti per scarso rendimento che, per giurisprudenza ormai consolidata sono ritenuti anch’essi di natura disciplinare, quando in particolare basati su valutazione dei risultati del lavoratore comparati con criteri individuabili e oggettivi.

 

Licenziamento per inidoneità sopravvenuta

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (nota del 24 giugno) prende posizione in merito a un importante dubbio applicativo rispetto ad divieto di licenziamento per inidoneità sopravvenuta alla mansione, che è una forma di recesso per giustificato motivo oggettivo e, come tale, rientra nel divieto di licenziamento, come è vietato avviare la conciliazione preventiva presso l’Ispettorato territoriale.

Si tratta di quel licenziamento intimato nei confronti di un dipendente che era idoneo (in tutto o in parte) a svolgere una certa mansione ma ha perso, per motivi diversi, la capacità fisica o psichica di eseguire i compiti che gli vengono affidati, e non può essere ricollocato in altre posizioni aziendali

Rispetto a questa fattispecie, l’Ispettorato osserva che il divieto di licenziamento ha carattere generale, e di conseguenza si applica a tutte le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo riconducibili all’articolo 3 della legge 604/1966. Il licenziamento intimato per inidoneità sopravvenuta alla mansione rientra in questa categoria, in quanto - al pari degli altri recessi fondati su motivi oggettivi - deve essere preceduto dalla verifica circa la possibilità di ricollocare il lavoratore in attività diverse riconducibili a mansioni equivalenti o inferiori, anche attraverso un adeguamento dell’organizzazione aziendale (cosiddetto obbligo di repêchage), come precisato più volte dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione 18020/2017; 27243/2018).

 

Conseguenze del licenziamento durante il periodo di divieto

Nonostante questo espresso divieto, non è raro il caso di licenziamenti che siano stati comunque attuati. Ma che ne è del licenziamento intimato nonostante il divieto posto dai decreti Cura Italia e Rilancio? L’indicazione più attendibile sembra essere la nullità del recesso per violazione di norme imperative, con obbligo della reintegrazione e del pagamento al licenziato di una indennità risarcitoria pari alla retribuzione maturata dal licenziamento fino all’effettiva reintegrazione, con un minimo di cinque mensilità e l’obbligo di pagare i contributi assistenziali e previdenziali.

La situazione è resa più complessa dai profili di incostituzionalità del divieto di licenziamento, derivanti della violazione dell’art. 41 della Costituzione, per il quale «l’iniziativa economica privata è libera». Da questo principio deriva anche la libertà dell’imprenditore di organizzare liberamente e autonomamente la propria attività.

A parere dell’Inps l’indennità di disoccupazione Naspi è una prestazione riconosciuta ai lavoratori che hanno perduto involontariamente la loro occupazione, nonostante il divieto post lockdown, atteso che l’accertamento sulla legittimità o meno del licenziamento spetta al giudice di merito, così come l’individuazione della corretta tutela dovuta al prestatore. In ragione di questo è possibile accogliere, se ci sono gli altri requisiti richiesti per legge, le domande di indennità di disoccupazione presentate dai lavoratori il cui rapporto di lavoro sia cessato a seguito di licenziamento, intimato anche in una data successiva al 17 marzo 2020.

 

Rapporti con il personale dirigente

Il divieto di licenziamento non si applica al personale dirigente e non è da escludere che alcune aziende dei settori più colpiti dalle conseguenze economiche dell’epidemia abbiano già avviato contatti  finalizzati alla ricerca di soluzioni di contenimento dei costi e, in estremo subordine, di possibile risoluzione dei rapporti di lavoro.

In questa ipotesi si deve comunque tenere conto del limite delle cinque unità di personale entro un periodo di 120 giorni, che opera nel caso di adozione di licenziamenti individuali diluiti nel tempo, per non scivolare nell’obbligo di procedure collettive, che sono vietate.

Allo scopo di prevenire ed evitare contenziosi con il dirigente, sulla base di una complessiva considerazione delle reciproche posizioni, che manifestano verosimilmente la reale esistenza di un valido motivo di giustificazione del licenziamento, la società offre al dirigente una incentivazione monetaria da aggiungere alle ordinarie competenze di fine rapporto, parametrata alla valutazione della posizione del lavoratore, dell’anzianità di servizio, dell’età, delle possibilità di ricollocazione e delle esigenze estensibili al nucleo familiare. Queste erogazioni sono le incentivazioni all’esodo, disciplinate dalla legge nei profili di tassazione e contribuzione, agevolate dall’assenza di versamenti Inps, in forza di una specifica previsione normativa.

 

Tavola riassuntiva

Con l’ausilio della tabella che segue, si riassumono le principali forme di licenziamento:

 

 

 

Licenziamento disciplinare

Non sono inclusi nel divieto di licenziamento i recessi per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, motivati cioè da gravi violazioni delle norme di legge e di contratto che rendono impossibile il proseguimento del rapporto di lavoro. Il licenziamento per giusta causa non prevede il preavviso, che spetta invece nel licenziamento per giustificato motivo soggettivo. L’articolo 46 del decreto Cura Italia vieta invece i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, cioè per ragioni inerenti all’attività produttiva.

 

 

Licenziamento per superamento del comporto

Il comporto è il periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia stabilito dal contratto collettivo applicabile. Se la malattia del lavoratore eccede tale periodo, il datore è libero di recedere dal contratto. È un caso diverso dal giustificato motivo oggettivo, che si identifica con la soppressione della posizione lavorativa. Il superamento del periodo di comporto, infatti, è un’ipotesi di risoluzione che non è regolamentata dall’articolo 3 della legge 604/1966 ma dall’articolo 2110 del Codice civile.

 

Licenziamento di lavoratori in prova

Anche questo caso è escluso dal divieto di recesso stabilito dai decreti Cura Italia e Rilancio. Non si tratta infatti di licenziamenti motivati da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, quanto alla inadeguatezza del lavoratore a ricoprire il ruolo per il quale è stato assunto.

 

 

Recesso per i dirigenti

L’articolo 46 del Dl Cura Italia vieta i licenziamenti previsti dall’articolo 3 della legge 604/1966. Questa norma non si applica ai dirigenti che quindi parrebbero esclusi dal divieto di licenziamento. I dirigenti potrebbero anche essere esclusi poichè il loro rapporto di lavoro può essere risolto se la risoluzione è giustificata. Tuttavia la ratio del divieto di recesso valido fino al 17 agosto è certamente quella di impedire l’interruzione di rapporti di lavoro in generale per ragioni economiche ed organizzative, per attenuare le conseguenze economiche derivanti dall’emergenza sanitaria.

 

 

06/07/2020

 

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