IL CONTAGIO DA COVID-19 E' INFORTUNIO SUL LAVORO

 

La circolare INAIL dedicata all'emergenza da coronavirus

 

Chi si infetta per coronavirus durante lo svolgimento del proprio lavoro, oppure nel tragitto da casa al luogo di lavoro, è tutelato dall’INAIL, esattamente come se fosse vittima di infortunio “per causa violenta”, come ha stabilito il decreto Cura Italia.

In particolare il decreto prevede alcune regole specifiche che riguardano la tutela infortunistica per chi è stato contagiato in occasione dell’attività lavorativa: il contagio da Covid-19 è considerato infatti a tutti gli effetti infortunio sul lavoro ai sensi dell’art. 42, co. 2 del D.L. n. 18/2020.

 

Infortunio sul lavoro

Il decreto Cura Italia (D.L. n. 18/2020, convertito dalla legge 27/2020, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 110 del 29 aprile) ha previsto importanti disposizioni sulla competenza INAIL relativa alla gestione dei lavoratori affetti da coronavirus, nei casi accertati di infezione da Sars-CoV-2 in occasione di lavoro, il medico certificatore deve redigere il normale certificato di infortunio e inviarlo telematicamente all’INAIL che assicura la tutela dell’infortunato.

È stato normativamente disposto, dunque, che il periodo di astensione dal lavoro determinata da infezione da coronavirus contratta in occasione del lavoro (comprensivo del periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro), fosse di diretta competenza dell’istituto assicurativo.

L’INAIL il 3 aprile ha diffuso una dettagliata circolare (n. 13 del 2020) per disciplinare anche dal punto di vista operativo la gestione dei casi Covid-19.

 

La posizione dell'INAIL

L’Istituto ha fornito importanti chiarimenti, facendo riferimento in primo luogo a una precedente circolare (n. 74 del 23 novembre 1995), riguardante in generale la trattazione delle malattie infettive e parassitarie, e inquadrando queste affezioni come infortuni sul lavoro. Ha precisato che nell’attuale situazione pandemica devono necessariamente operare delle presunzioni semplici (che cioè possono essere smentite da prove positive di segno contrario), assumendo che per gli operatori sanitari debba ritenersi altamente probabile che l’infezione sia stata contratta in occasione del lavoro, così come per altre categorie fortemente esposte quali ad esempio lavoratori che operano in front office, alla cassa, addetti alle vendite e banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, e altre categorie assimilabili a queste.

E’ ritenuto indennizzabile dall’INAIL ogni caso di contagio che in base a indizi gravi precisi e concordanti sia riconducibile al posto di lavoro (o meglio, all’occasione di lavoro) del soggetto ammalato. Infine, stando alle linee guida di riferimento, la tutela assicurativa è estesa a tutti i casi in cui l’identificazione delle cause precise del contagio si presentino problematiche.

Nei casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’Istituto, che assicura la tutela dell’infortunato. E’ necessario che sia trasmessa all’INAIL anche la certificazione relativa all’avvenuto contagio: documentazione che può consistere in qualunque accertamento clinico strumentale in grado di attestare, in base alle attuali conoscenze scientifiche, l’avvenuto contagio. Questa documentazione può essere trasmessa anche in un secondo momento o acquisita direttamente dall’infortunato senza ricorrere alla trasmissione telematica da parte del medico.

Uno dei punti critici della norma è infatti la necessità di stabilire che il contagio sia avvenuto in occasione del lavoro, prova in assoluto non facile da fornire, poiché è evidente che anche a causa del lungo periodo di incubazione non ci possa essere certezza sul luogo e sulla causa del contagio, se cioè sia avvenuto in occasione del lavoro ovvero nell’ambito della vita privata del lavoratore.

Infine, il D.L. 18/2020 prevede espressamente che i casi Covid pur qualificati come infortuni sul lavoro gravino sulla gestione assicurativa, ma non siano computati ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico dell’azienda.

Anche gli eventi di contagio da coronavirus accaduti durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro sono configurabili come infortunio in itinere.

 

Denuncia all'INAIL entro due giorni

Come per gli altri casi di infortunio, i datori di lavoro devono poi effettuare la denuncia-comunicazione d’infortunio all’Istituto in base all’art. 53 del D.P.R. 11247/1965, compilando, nel caso di contagio da nuovo coronavirus, l’apposito campo «malattia infortunio» presente nell’applicativo relativo alla denuncia di infortunio online con facoltà di compilazione dei campi «data inizio prognosi» e «data fine prognosi».

Solo dalla conoscenza positiva, da parte del datore di lavoro, dell’avvenuto contagio, decorrono i termini per la trasmissione telematica della denuncia all’Istituto. La conoscenza può arrivare dalla certificazione trasmessa telematicamente dal medico che accerta l’avvenuto contagio: il certificato dovrà riportare i dati anagrafici completi del lavoratore, quelli del datore di lavoro, la data dell’evento-contagio, la data di astensione dal lavoro per inabilità temporanea assoluta conseguente al contagio da virus ovvero la data di astensione dal lavoro per quarantena o permanenza domiciliare fiduciaria del lavoratore, sempre legata all’accertamento dell’avvenuto contagio e, in particolare per le fattispecie per le quali non opera la presunzione semplice dell’avvenuto contagio in relazione al rischio professionale specifico, le cause e circostanze, la natura della lesione e il rapporto con le cause denunciate. Sarà poi cura dell’INAIL trasmettere all’INPS le posizioni relative ai casi che l’Istituto ritiene non indennizzabili come infortunio.

 

Rispetto del protocollo sulla sicurezza per evitare il rischio penale

Per evitare la responsabilità penale dell’imprenditore, per il mancato rispetto delle norme di sicurezza, è importante rispettare il protocollo condiviso di regolamentazione per gli ambienti di lavoro del 24 aprile 2020, firmato da imprese e sindacati, d’intesa con il Governo, ed inserito come allegato nel Dpcm del 26 aprile.

In esso viene traccia una fitta mappa dei presupposti per la ripresa, dagli obblighi di informazione, alle modalità di accesso alla sede di lavoro da parte dei lavoratori, ma anche di fornitori esterni e visitatori; si individuano anche i tempi e modi della sanificazione in azienda, le precauzioni igieniche personali e i dispositivi di protezione individuale, come pure i tempi e i modi di gestione degli spazi comuni, dalle mense agli spogliatoi, senza tralasciare le indicazioni sugli spostamenti interni, sulle modalità di svolgimento delle riunioni, sulla gestione di un caso sintomatico in azienda.

Si tratta di una serie di regole, il cui rigoroso rispetto dovrebbe mettere al riparo l’imprenditore da contestazioni di natura penale. A quel punto sarebbe difficile poter sollecitare sanzioni nei confronti di chi si è attenuto con scrupolo al rispetto di prescrizioni concordate tra le parti sociali e con il consenso del Governo, oltre al fatto che si tratta ci circostanze del tutto nuove e inedite, dove molte attività sono state prima sospese e poi riaperte e altre hanno proseguito la produzione in situazioni del tutto particolari, e dispositivi di protezione non sempre sono facilmente reperibili.

Considerata l’incertezza della norma, è auspicabile una disposizione che renda in qualche modo esplicito il fatto che nulla possa essere imputato all’imprenditore, se ha rispettato meticolosamente i protocolli di sicurezza; una sorta di scudo penale per rafforzare le garanzie nel corso di una stagione del tutto particolare e comunque non una forzatura dettata dallo stato di emergenza. Un pò come avviene, nel diritto penale dell’economia, sul versante della responsabilità per i reati dei dipendenti, previsto dal decreto 231 del 2001, che espressamente esclude per quelle imprese che hanno attuato modelli organizzativi idonei a scongiurare la commissione dei reati previsti.

 

Si veda anche: Sicurezza dei lavoratori dopo la ripresa dell'attività, con il protocollo aggiornato al 24 aprile

 

 

05/05/2020

 

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