TUTELATO IL LAVORATORE CHE SEGNALA L'ILLECITO

 

Whistleblowing: la nuova normativa che tutela chi segnala il reato

 

La Camera, nella seduta del 15 novembre 2017, ha approvato in via definitiva la proposta di legge C. 3365-B, “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”, c.d. whistleblowing.

 

Si tratta della possibilità per i dipendenti pubblici e privati di effettuare segnalazioni e denunce per fatti illeciti di cui siano venuti a conoscenza in occasione del rapporto di lavoro. Il diritto di denuncia del lavoratore dipendente era comunque già riconosciuto dalla giurisprudenza precedente all’entrata in vigore della legge.

 

Definizione

Il termine whistleblowing, dall’inglese “suonare il fischietto” è un istituto molto noto nel panorama legale internazionale, come ad esempio negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, che ha ora trovato formale riconoscimento anche in Italia, con la promulgazione della L. 30 novembre 2017, n. 179. Una legge, questa, che detta una disciplina a favore del lavoratore che decide di segnalare l’illecito, garantendone, in primo luogo, l’anonimato e, in seguito, la tutela in caso di eventuali ritorsioni da parte del datore di lavoro.

 

Applicazione nel settore Privato

Nel settore privato, tuttavia, la recente normativa non trova applicazione indistinta e generalizzata ma resta circoscritta ai soli enti che abbiano deciso di adottare il modello organizzativo individuato dal Dlgs 231/2001, relativo alla responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato. Sono stati così introdotti nuovi oneri per le aziende e un apparato di tutele anti ritorsione a favore degli autori delle segnalazioni con il fine esplicito di favorire e incentivare l’emersione delle condotte illecite.

L’art. 2 estende al settore privato la tutela del dipendente o collaboratore che segnali illeciti o violazioni relative al modello di organizzazione e gestione dell’ente di cui sia venuto a conoscenza per ragioni del suo ufficio. La disposizione dunque modifica l’art. 6 del D.Lgs. 231 del 2001 sulla “Responsabilità amministrativa degli enti”, con riguardo ai modelli di organizzazione e di gestione dell’ente idonei a prevenire reati. In particolare, sono aggiunti all’art. 6 tre nuovi commi:

- Il comma 2-bis, relativo ai requisiti dei modelli di organizzazione e gestione dell’ente prevede uno o più canali che, a tutela dell’integrità dell’ente, consentano a coloro che a qualsiasi titolo rappresentino o dirigano l’ente, segnalazioni circostanziate di condotte costituenti reati o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte.

Tali canali debbono garantire la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione, e la modalità informatica è uno strumento necessario, e non eventuale, del canale a tutela della riservatezza dell’identità del segnalante.

Inoltre si chiarisce che le segnalazioni devono fondarsi su elementi di fatto che siano “precisi e concordanti”.
I modelli di organizzazione devono prevedere sanzioni disciplinari nei confronti di chi violi le misure di tutela del segnalante. Mentre si è previsto l’obbligo di sanzionare chi effettua, con dolo o colpa grave, segnalazioni che si rivelino infondate.

 

Tutela del soggetto segnalatore

Al pari di quanto previsto per il settore pubblico, anche per quello privato la legge prevede la tutela contro “misure discriminatorie” eventualmente adottate contro il segnalante: secondo le nuove norme, (art. 2 comma 2-quarter) dunque, “il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante è nullo”, così come “il mutamento di mansioni ai sensi dell’art. 2103 c.c., nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante”.

L’adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti che effettuano le segnalazioni può essere oggetto di denuncia all’Ispettorato del lavoro, per i provvedimenti di propria competenza, oltre che dal segnalante, anche dall’organizzazione sindacale indicata dal medesimo (articolo 2 comma 2- ter). Anche in questo caso, è previsto che sia onere del datore di lavoro dimostrare che le misure discriminatorie eventualmente adottate “sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa” (articolo 2).

Come nel settore pubblico è onere del datore di lavoro dimostrare che l’adozione di tali misure siano estranee alla segnalazione mossa dal dipendente.

 

Applicazione nella Pubblica Amministrazione

L’art. 1 modifica l’art. 54-bis del Testo unico del pubblico impiego (D.Lgs. n. 165 del 2001), introdotto dalla legge Severino che aveva già accordato un prima forma di tutela per il segnalante, prevedendo un vero e proprio sistema di garanzie per il dipendente. La nuova disciplina stabilisce, anzitutto, che colui il quale - nell’interesse dell’integrità della PA - segnali al responsabile della prevenzione della corruzione dell’ente (di norma un dirigente amministrativo, negli enti locali il segretario) o all’Autorità nazionale anticorruzione o ancora all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile le condotte illecite o di abuso di cui sia venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto di lavoro, non possa essere - per motivi collegati alla segnalazione - soggetto a sanzioni, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altre misure organizzative che abbiano un effetto negativo sulle condizioni di lavoro.

L’eventuale adozione di misure discriminatorie va comunicata dall’interessato o dai sindacati all’Anac che a sua volta ne dà comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica e agli altri organismi di garanzia. In questi casi l’Anac può irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del responsabile da 5.000 a 30.000 euro, fermi restando gli altri profili di responsabilità. Inoltre, l’Anac applica la sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro a carico del responsabile che non svolga le attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute. La misura della sanzione tiene conto delle dimensioni dell’Amministrazione.

Spetta poi all’Amministrazione l’onere di provare che le misure discriminatorie o ritorsive adottate nei confronti del segnalante siano motivate da ragioni estranee alla segnalazione. Gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall’Amministrazione o dall’ente comunque sono nulli. Il segnalante licenziato ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro e al risarcimento del danno. Le tutele invece non sono garantite nel caso in cui, anche con sentenza di primo grado, sia stata accertata la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque reati commessi con la denuncia del medesimo segnalante ovvero la sua responsabilità civile, nei casi di dolo o colpa grave.

 

Rilevazione del segreto

L’art. 3, introdotto nel corso dell’esame al Senato, con riguardo alle ipotesi di segnalazione o denuncia effettuate nel settore pubblico o privato, introduce come giusta causa di rivelazione del segreto d’ufficio, professionale (art. 622 c.p.), scientifico e industriale, nonché di violazione dell’obbligo di fedeltà all’imprenditore, il perseguimento, da parte del dipendente pubblico o privato che segnali illeciti, dell’interesse all’integrità delle amministrazioni (sia pubbliche che private) nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni. La giusta causa opera dunque come discriminante, nel presupposto che vi sia un interesse preminente (in tal caso l’interesse all’integrità delle amministrazioni) che impone o consente tale rivelazione.

Costituisce invece violazione dell’obbligo di segreto la rivelazione con modalità eccedenti rispetto alle finalità dell’eliminazione dell’illecito. In questi casi non trova dunque più applicazione la giusta causa e sussiste la fattispecie di reato a tutela del segreto.

 

 

01/03/2018

 

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