Analisi sui mercati finanziari a cura di Pierluigi Gerbino

Docente di Economia - 4° class. al Campionato Italiano di Trading Top Trader 2000

 

Anno 2008  -  Giugno

 

 

 

 

 

ESTATE SPERICOLATA

 

COMMENTO

 

Casella di testo: Nessuno ha la sfera di cristallo. Le opinioni e le previsioni di questo report derivano dall’applicazione di tecniche di analisi e dall’esperienza diretta dell’autore. Si garantisce  scrupolo ed indipendenza nelle analisi. L’esattezza delle previsioni non può garantirla nessuno. Mentre in queste settimane si è passato il tempo ad esultare per lo scampato pericolo dalla recessione USA, nel mondo si sta imponendo un pericolo altrettanto insidioso per i mercati finanziari, oltre che per le tasche dei cittadini. Il mostro degli anni ’70, quello che riuscì a piegare le economie per anni in un vortice di bassa o inesistente crescita accompagnata da erosione della ricchezza dei cittadini e dele risparmio, sembra nuovamente far capolino dietro l’angolo. Torna il fantasma della stagflazione.

Le schiere degli ottimisti prezzolati (analisti delle banche d’affari, promotori piazzisti di fondi, governi ed autorità monetarie) che per dovere istituzionale non possono che prevedere la fine delle difficoltà e la luce in fondo al tunnel, altrimenti non campano, stanno ancora esultando per il dato sul PIL USA del 1° trimestre, che pochi giorni fa è stato addirittura rivisto dal +0,6% al +0,9% su base annua e sembra dimostrare che forse questa volta gli USA eviteranno la recessione.

Ricordo che tecnicamente si parla di recessione se vengono comunicati due trimestri consecutivi con variazione negativa del PIL. Siccome tutti hanno fiducia negli effetti taumaturgici dell’aiutino che Bush ha inviato in questi giorni agli americani (160 miliardi di dollari di rimborsi fiscali salva-mutui, non bruscolini), si pensa che avremo in negativo soltanto il 2° trimestre, che è arrivato ai 2/3 del suo percorso accompagnato da dati macro ancora brutti. Poi la corsa a spendere il regalo di fine mandato del Presidente uscente consentirà di rianimare i consumi e far riprendere al PIL la via della crescita nel terzo e soprattutto nel quarto trimestre. Tutto è bene quel che finisce bene: torniamo a comprare.

Sull’onda di questa convinzione i mercati hanno esteso il loro rimbalzo fino al 19 maggio e sono arrivati a recuperare buona parte del calo partito dai massimi del novembre 2007 e durato 5 mesi. SP500, il più rappresentativo indice del mercato USA ha realizzato un recupero proprio di circa il 60% della precedente discesa ed è arrivato molto vicino al punto oltre il quale gli analisti grafici avrebbero dovuto cambiare idea e prendere in forte considerazione l’eventualità che quella in corso fosse una sorta di riedizione del 1998. Allora i mercati barcollarono, a causa della crisi russa e del fallimento del grande hedge fund LTCM (quello che si vantava di essere gestito con la consulenza di tre Premi Nobel per l’economia), ma l’economia evitò la recessione ed i mercati ripartirono per l’euforico biennio ’99-2000 e nuovi sfavillanti massimi, trascinati dalla new economy.

Apparentemente una situazione simile a quella odierna. Graficamente, se SP500 riuscirà a riportarsi oltre il massimo del 19 maggio a 1.440 e supererà anche quota 1.455, che equivale al 61,8% di ritracciamento del calo dai massimi di novembre, fornirà un segnale di forza che avrà come primo obiettivo il ritorno ai massimi assoluti (1.576) e magari oltre, se l’euforia tornerà a farla da padrona.

Le analogie con il 1998 però, a mio parere, finiscono qui, per cui mi sbilancio ad affermare che, se l’andamento dell’economia significa ancora qualcosa per i mercati, lo scenario grafico ottimista ha poche probabilità di avverarsi, checchè ne dicano i seminatori di entusiasmo che hanno ricominciato ad occupare la scena.

Infatti da un lato guardo con molto scetticismo il dato positivo del PIL americano, ottenuto grazie alle esportazioni favorite dal mini dollaro (di cui tutti gli ottimisti prevedono la ripresa: se sarà così questo sostegno in futuro verrà a mancare), alle scorte di magazzino invendute (che sono un segno di enorme debolezza della domanda e non di forza della produzione, e dovranno essere riassorbite con minore PIL futuro), al trucchetto contabile di deflazionare i consumi con un deflatore che riflette l’inflazione “core” (al netto degli aumenti di prezzo di energia ed alimentari), che è il 2,6%, anzichè l’inflazione globale, mediamente intorno al 4% nel trimestre. Questo trucchetto ha consentito quasi l’1% di contributo fasullo alla crescita del PIL. Senza questi trucchetti il PIL sarebbe sceso, e non salito al ritmo di +0,9% annuo.

Dall’altro lato guardo con grande preoccupazione alla continua iniezione di liquidità che la Federal Reserve sta inutilmente pompando nel sistema bancario nel tentativo, per ora vano, di far arrivare credito al sistema economico. Le banche continuano ad irrigidire le condizioni per la concessione di prestiti (fanno fatica addirittura a prestarsi i soldi tra loro) e non trasmettono all’economia lo stimolo espansivo provocato dal calo degli interessi ufficiali al 2%. In tali condizioni pompare liquidità serve solo ad alimentare l’inflazione.

Non è perciò un caso che la peggiore delle notizie ultimamente giunte è proprio il ritorno prepotente dell’inflazione, come conseguenza dell’esagerato aumento dei prezzi di petrolio ed alimentari. Guarda caso, proprio di quei generi che nel calcolo dell’inflazione “core”, la prediletta da Bernanke e soci, non vengono conteggiati. Perciò abbiamo la paradossale situazione che la Fed, pur destando preoccupazioni, al momento l’inflazione è ancora contenuta, mentre tutti gli altri americani, che dovendo purtroppo mangiare, scaldarsi e viaggiare, devono acquistare anche i beni “non core”, percepiscono una forte erosione del potere d’acquisto. Una evidenza che è ben testimoniata dal continuo calo della fiducia dei consumatori americani, elaborata dal Conference Board, che nell’ultima rilevazione del 27 maggio ha fotografato un dato globale a 57,2, il minimo dall’ottobre 1992. E’ molto interessante però andare a scavare nelle varie componenti dell’indice. Si nota che sia la valutazione della situazione corrente che le aspettative future sono in calo. Però le aspettative si sono ridotte ad un livello di fiducia che per ritrovarlo così basso occorre andare indietro fino al 1973 (guarda caso quando ci fu la stagflazione). Ed è proprio la componente delle attese sui prezzi futuri a fornire il maggior contributo di sfiducia alle aspettative. Negli USA il tasso globale è ora misurato al 3,9%. Gli americani si attendono però mediamente per il prossimo anno una inflazione in salita fino al 7,7%, quando solo qualche mese fa attendevano poco più del 5%. Il calo di fiducia si motiva perciò con questa percezione dello dello shock inflazionistico addirittura in accentuazione, mentre il contributo del rimborso fiscale, positivo per le loro tasche, viene visto come transitorio.

A questo proposito, anche per calmierare un po’  l’ottimismo di maniera di chi pensa che regalando 160 miliardi una tantum si possa far ripartire l’economia USA, è molto illuminante il risultato di un sondaggio, pubblicato da Mish’s Global Economic Trend Analysis, su come gli americani pensano di utilizzare la somma che Bush ha regalato: ebbene, il 45% la userà per pagare debiti e il 18% la risparmierà. L’impatto positivo sui consumi si riduce così a poco più di un terzo di tale somma. Un po’ pochino per affidare solo ad esso l’arduo compito di far ripartire l’allegra locomotiva del consumismo yankee.

Faccio notare che il diffondersi nel vasto pubblico di attese inflazionistiche, magari addirittura esagerate (personalmente condivido il timore di un aumento dell’inflazione in USA, ma non riesco a vederla fino al 7,7% tra un anno, nemmeno dando fondo a tutta la mia capacità di pessimismo, che alcuni lettori mi attribuiscono molto spiccata), consente all’inflazione di alimentarsi, poiché portando alla rassegnazione chi la subisce, ne abbassa le difese, mentre spinge chi aumenta i prezzi a farlo sempre più, dato che il sistema, prevedendoli, è portato ad accettare senza lamentarsi molto aumenti dei prezzi anche non troppo giustificati.

Dobbiamo prendere atto che la lunga epopea della stabilità dei prezzi è giunta al termine.

Pressioni verso una rinascita dell’inflazione globale si diffondono uniformemente già ora in tutto il mondo. Anche in Europa ci avviciniamo al 4%, la Cina è ormai praticamene al 10%, l’India registra oltre l’8%, la Russia è al 14%. L’unico paradiso rimasto contro l’erosione dei prezzi è in Giappone, a costo di una stagnazione ormai decennale, ma anche lì qualcosa comincia a muoversi.

L’evento non sarà senza conseguenze. E saranno conseguenze di lungo periodo.

Per cui avremo occasione di tornarci chissà ancora quante volte.

Per ora godiamoci le partite degli imminenti Europei di calcio e l’altrettanto interessante match tra rialzisti e ribassisti, che si sta giocando sui mercati finanziari. Oltre 1.455 di SP500 vinceranno i rialzisti e si tornerà ai massimi. Sotto 1.370 avranno la meglio i ribassisti e si tornerà probabilmete a ritestare i minimi di marzo. All’interno di questi due livelli è pareggio e si potrebbe andare ai supplementari per alcune settimane.

 

 

FOCUS MACROECONOMICO

 

IL SENTIMENTO DEL MERCATO

 

Quest’anno, per la prima volta da quando frequento l’Italian Trading Forum di Rimini, è un anno orso.

Non è la prima volta che lo incontro, l’ho conosciuto dopo lo scoppio della bolla della new economy, ma allora non lo avevo mai visto graficamente.

A Rimini ho prestato particolare attenzione a quello che potremmo definire il “sentiment” dei trader e degli analisti per prossimi mesi.

Cominciamo col dire che la platea, banalmente, si divide fra ottimisti e pessimisti. I primi ritengono  che il peggio è passato o per lo meno che peggio di così non possa andare. I secondi invece sostengono che tutti gli effetti recessivi non siano ancora emersi e che quindi ci possiamo aspettare ulteriori ribassi e tensioni sui mercati.

In particolare, gli analisti consigliano di aspettare i dati macro in uscita in questi giorni per valutare i possibili sviluppi dei corsi perché è opinione diffusa che nei prossimi mesi assisteremo ad una lunga fase laterale,  anche con movimenti di ampiezza notevole.

I trader invece, a parte qualche eccezione, rimangono su posizioni molto più neutrali e si soffermano a discutere sul comportamento operativo da tenere in un mercato con andamento laterale ma con una discreta ampiezza.

Il messaggio fondamentale è quello di essere disciplinati, rispettare gli stop-loss e cercare di seguire il mercato che, non avendo una sola direzione, rischia di farci prendere schiaffi da entrambe le parti.

Personalmente trovo più condivisibili le ragioni dei pessimisti, ma questo, visto con gli occhi del trader ha poca importanza. Quello che conta invece è l’essere mentalmente pronti ad usare tutti i mezzi a disposizione per essere profittevoli in un mercato difficile come quello di oggi.

Penso agli short nei quali occorre determinazione e rapidità, agli stop-loss che già conosciamo ma è bene ricordare che rappresentano la nostra vera ed unica ancora di salvataggio in un mare in tempesta.

Detto ciò, non mi stupirei di vedere il nostro Mibtel che fino all’autunno balli fra i 28000 ed i 32000 punti, salvo poi essere smentito fra qualche giorno… ma in fondo che importa, metodo e disciplina.

 

 

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