Analisi sui mercati finanziari a cura di Pierluigi Gerbino

Docente di Economia - 4° class. al Campionato Italiano di Trading Top Trader 2000

 

Anno 2008  -  Novembre

 

 

 

 

 

UNA SPERANZA TRA LE TANTE INCERTEZZE

 

COMMENTO

 

Casella di testo: Nessuno ha la sfera di cristallo. Le opinioni e le previsioni di questo report derivano dall’applicazione di tecniche di analisi e dall’esperienza diretta dell’autore. Si garantisce  scrupolo ed indipendenza nelle analisi. L’esattezza delle previsioni non può garantirla nessuno. Dopo il crollo iniziato nel mese di settembre e culminato nel minimo del 10 ottobre, i mercati azionari da un mese stanno producendo grafici che assomigliano alle tracce di un sismografo, tanto sono violente e di breve durata le oscillazioni. La stessa impressione si ricava guardando il grafico del VIX, quell’indice che misura la volatilità implicita delle opzioni sull’indice USA SP500 e che io chiamo “l’indice della paura”, poiché sale in coincidenza con gli eccessi di panico degli investitori. Il VIX si è portato da oltre un mese al di sopra del valore di 50, che raramente viene toccato.

Sui mercati si alternano crolli e rimbalzi che hanno prodotto una sensazione di instabilità e pericolosità e consigliato la massa di astenersi dall’operare. Infatti i volumi di contrattazione sono decisamente in diminuzione rispetto a quelli del periodo del crollo lineare.

La lettura della dinamica del mercato potrebbe essere la seguente. In settembre ed ottobre c’è stata la netta percezione del deterioramento della situazione e sul mercato sono piovute vendite cospicue. Sono state chiuse molte posizioni, per scelta o per forza, da parte di investitori di lungo periodo ed anche da parte di operatori istituzionali e fondi hedge. Questi ultimi, operando con forti leve, quando le perdite diventano significative o avvengono richieste di riscatto, devono rientrare nei margini smontando molte posizioni. Se non lo facessero dovrebbero fallire. Molti stanno infatti fallendo e tentano disperatamente di evitarlo vendendo a raffica. Queste vendite forzate alimentano quel fenomeno apparentemente strano che è la violenza dei cali nell’ultima ora di contrattazione di Wall Street, dovuto proprio in gran parte a vendite a mercato per rientrare nei margini.

Se è quindi vero che molti sono usciti nel terribile mese e mezzo iniziato a settembre, da metà ottobre assistiamo ad un’altra partita, cioè quella dell’operatività mordi e fuggi, alimentata dalla forte volatilità e dagli eccessi ribassisti enormi che si erano accumulati con con la capitolazione di inizio ottobre.

Si sono cioè affacciati sul mercato i cacciatori di immondizia, che sugli eccessi ribassisti comprano in attesa del rimbalzo. Quando questo avviene, provoca la chiusura di posizioni short e si autoalimenta, illludendo molti con significative riprese nello spazio di pochi giorni. Ma dopo il mordi viene il fuggi, per cui arrivano immediate prese di profitto che ricacciano i mercati verso i minimi.

Una specie di yo-yo speculativo di piccolo cabotaggio, che disorienta e deprime l’investitore cassettista e genera forti iniezioni di adrenalina in chi fa trading. Puntualizzo che la volatilità è amica dei traders disciplinati e non emotivi, ma è nemica di chi non ha nervi d’acciaio e metodo efficace oppure non può seguire costantemente le posizioni.

Il mordi e fuggi va fatto bene, ricordandosi di fuggire, altrimenti è assai meglio astenersi dal mordere.

Cerchiamo ora di interpretare la situazione inquadrandola nella sua cornice macroeconomica.

Nei primi nove mesi dell’anno i mercati hanno scontato, tra crolli profondi e deboli rimbalzi, la crisi finanziaria, che non sto a riassumere. Chi volesse ripassare la storia può leggersi gli articoli da me pubblicati nei mesi scorsi (si trovano tutti nella sezione Commenti e analisi del sito www.borsaprof.it).

La profondità del crollo di fine estate ha suggerito che tale crisi è stata molto più profonda di quanto i mercati si aspettassero. La devastazione che i prodotti finanziari costruiti sulle salsicce dei mutui subprime hanno lasciato nei bilanci bancari ha superato l’immaginazione dei mercati, che hanno scaricato, senza badare al prezzo, tutto quel che poteva essere stato contaminato da quella spazzatura (titoli bancari, finanziari ed assicurativi in primis).

Ma purtroppo questo non è stato l’unico effetto e neanche il peggiore. Tra le banche si è diffuso infatti un sentimento di sfiducia nei confronti dei debitori e persino nei confronti del sistema bancario stesso. Da quest’estate esse hanno sostanzialmente tirato i remi in barca ed hanno smesso di fare il proprio lavoro. Anziché prestare soldi all’economia le banche hanno preferito mettere al sicuro, per quanto possibile, i loro impieghi, coprendo le svalutazioni sui prodotti invendibili attraverso il rientro degli altri finanziamenti.

Si è prodotto così il classico “credit crunch”, cioè la restrizione autonoma del credito, nonostante l’opera di costante immissione di liquidità da parte delle banche centrali, che stanno inondando da mesi il sistema con fiumi di denaro erogato a tassi ormai irrisori, almeno negli USA. La liquidità quasi gratis però, anziché finire al sistema economico, veniva utilizzata dalle banche ordinarie per acquistare ben più sicuri titoli di stato.

Abbiamo così assistito dapprima allo strano fenomeno dei tassi interbancari a breve che hanno preso il volo nonostante il calo dei tassi ufficiali. Poi, quando i governi dei principali paesi nello storico week-end di paura del 12-13 ottobre hanno rassicurato il mondo garantendo ufficialmente che le banche non sarebbero fallite, è avvenuto il progressivo abbassamento dei tassi interbancari, ma senza che si rianimasse significativamente l’attività erogatrice del credito all’economia.

Il blocco del credito nel frattempo ha manifestato i suoi venefici effetti sull’economia reale.

Tutti immaginavano che ciò sarebbe accaduto. Infatti da agosto non si sentivano più esperti affermare che gli Usa avrebbero evitato la recessione.

Ma la violenza e la rapidità della trasmissione del virus finanziario all’economia reale è stato senza precedenti, al punto che ora il dilemma non è più tra stagnazione e recessione, come in estate, ma tra recessione e la ben più temibile depressione.

L’elenco delle pessime notizie che nelle settimane scorse si sono susseguite sarebbe molto lungo.

Mi limito a riportarne qualcuna che io ritengo maggiormene significativa per rappresentare la drammaticità della situazione.

IL PIL USA NEL 2008

PIL 1° trimestre

+0,9%

Salvato da consumi (+0,6), spesa pubblica (0,4) e export (+0,8). Tutto il resto negativo.

PIL 2° trimestre

+2,8%

Tenuta consumi (+0,8: piano Bush) spesa pubblica (+0,8) e boom export (+2,9). Tutto il resto negativo.

PIL 3° trimestre

-0,3%

Crollo dei consumi. Salvati da export e spesa pubblica.

COMPARTI DEL PIL

VARIAZ.

% t/t

CONTRIBUTO

% AL PIL

Consumi privati

-3,1

-2,25

      Spesa per beni durevoli

-14,1

- 1,10

      Spesa per beni non durevoli

-6,4

- 1,41

      Spesa per servizi

+0,6

+ 0,25

Investimenti

- 1,9

-0,83

      Investimenti delle imprese

-5,6

- 0,11

      Investimenti residenziali

-19,1

- 0,72

      Scorte di magazzino

 

+ 0,56

Spesa pubblica

+ 5,8

+1,15

Esportazioni nette

 

+1,13

Fonte: U.S. Department of Commerce

Il PIL americano del terzo trimestre, pur rappresentando una situazione che non aveva ancora assunto i contorni negativi che si sono delineati ultimamente, fa vedere che già in estate l’attività economica era fortemente in calo. La tabella allegata, che riporta i contributi al pil delle principali voci della domanda, impietosamente segnala il crollo dei consumi, l’ultimo baluardo che nei trimestri precedenti aveva tenuto a galla le sorti economiche americane. Export, spesa pubblica e scorte hanno consentito che il segno meno non fosse seguito da un numero molto significativo.

La resa dei conti sul PIL appare rinviata al quarto trimestre. Però, se i segnali anticipatori verranno confermati, a fine gennaio, quando verranno pubblicate le statistiche ufficiali dell’ultimo trimestre 2008, dobbiamo attenderci un risultato terrificante, che renderà ragione anche di quel che non appare ancora nel terzo trimestre.

I brutti segnali anticipatori che io vedo sono più d’uno. Cominciamo dal crollo degli indici ISM, che rivelano la percezione dei managers di un campione di 300 grandi imprese USA. Tale indice si ritiene in equilibrio al livello di 50. Oltre tale limite i managers annusano espansione economica, sotto vedono recessione. L’ultimo dato uscito, relativo ad ottobre, ha visto quello relativo alle imprese manifatturiere scendere sotto quota 39, cioè ad un livello più basso di quello raggiunto nelle ultime due precedenti recessioni del ’91 e del 2001. Anche quello relativo alle imprese di servizi è sceso da 50 a 44,4, minimo assoluto e ben inferiore alle attese.

Se non ci basta l’ISM andiamo a guardare il mercato del lavoro.

Anche se le stime del Dipartimento del Lavoro USA non sono molto accurate e vengono poi riviste a posteriori, impressiona il fatto che nell’anno 2008 siano stati persi già circa 1.200.000 posti di lavoro e soprattutto che quasi metà di questi (ben 524.000) sia stata tagliata nei due ultimi mesi di settembre ed ottobre.

Ho l’impressione che l’attività economica USA stia letteralmente implodendo e questa idea è rafforzata dall’andamento di un altro indicatore anticipatore assai affidabile, il cosiddetto Baltic Dry Index, cioè l’indice dei prezzi dei noli marittimi per il trasporto di materie prime sfuse. Questo indicatore misura l’attività di trasporto alla radice della catena produttiva. Se cala è perché non si trasportano materie prime e se non si trasportano materie prime probabilemnte nei mesi successivi calerà anche la produzione di prodotti finiti. Ebbene, questo indice, che a maggio di quest’anno, in piena euforia dei prezzi delle materie prime, aveva raggiunto quota 11.793, oggi è fissato a 824, cioè in calo addirittura del 93%. Le poche navi che viaggiano lo fanno quasi gratis.

Se le navi sono ferme nei porti significa che l’attività è bloccata. Sarà colpa del calo di domanda e dei magazzini pieni di merce invenduta oppure delle banche che stringono i finanziamenti. O di entrambi i fattori.

Fatto sta che in questi giorni ci sono catene di negozi che vendono generi di consumo ed articoli da regalo che stanno chiudendo i battenti alla vigilia dell’inizio della stagione delle spese natalizie. Pessimo segno. Manca totalmente la fiducia che quella che gli anni passati era una “corsa ai regali” quest’anno sia almeno una “passeggiata”.

Se vogliamo possiamo anche esaminare il crollo nelle vendite di auto in questi ultimi mesi, che sta portando al collasso giganti come General Motors, ad un passo, forse meno, dall’ufficializzazione del fallimento, che potrà essere evitato solo se Bush deciderà di trattarla come una banca e la salverà.

In questi giorni stanno poi piovendo sul mercato profit warning da tutte le parti, come se l’industria si fosse svegliata di colpo da un bel sogno ed avesse assaggiato quanto sia duro il pavimento quando si cade dal letto.

Tutto ciò mentre continua lo stillicidio di difficoltà bancarie, fallimenti di Fondi Hedge, problemi di rimborso anche sulle carte di credito e, per finire, ma solo perché non voglio deprimere ulteriormente i lettori, anche l’inerosabile discesa dell’indice dei prezzi delle case Case/Shiller, mentre i pignoramenti sui mutui non rimborsati continuano a salire.

In tutto questo cimitero di notizie reali vi è una sola nota positiva, che però è legata non a fatti concreti ma ad aspettative.

Mi riferisco alla vittoria di Barak Obama nelle elezioni presidenziali. L’evento ha suscitato un vero e proprio entusiasmo popolare, poiché, dimostrando che anche l’impensabile (un nero alla Casa Bianca) può diventare realtà, ha scatenato le speranze di cambiamento in tutto il mondo, caricando sulle aitanti ma pur sempre umane spalle del vincitore una responsabilità messianica che schiaccerebbe chiunque. Il novello Atlante viene accreditato come l’unico in grado di risolvere i problemi del mondo e tra questi innanzitutto quello della profonda depressione che affliggerà il mondo.

Non possiamo però dimenticare che “l’Abbronzato”, come è stato definito con molta eleganza dal nostro Supersilvio, un miracolo l’ha già fatto ed è la vittoria alle elezioni (sarà per via dei miracoli che il nostro premier pare un po’ invidioso del suo futuro “migliore amico” ?).

Ripetersi risulta non tanto semplice, almeno da circa 2000 anni. Però potrà e dovrà provarci.

Nel frattempo ci toccherà sopportare ancora per due mesi le imbecillità di Bush, tra le quali dobbiamo annoverare la voglia di far vedere che per ora è ancora lui il comandante, per cui non ha invitato Obama al G20 di sabato prossimo.

Perciò non resta che sperare che i mercati non scendano troppo prima che Obama prenda effettivamente il potere e poi che una volta insediato si mostri capace se non proprio di far miracoli, almeno di azzeccare tutto quello che farà nei primi 100 giorni.

Comunque saranno sorci verdi per tutti.

 

 

FOCUS MACROECONOMICO

 

I MERCATI DANZANO SULL’ORLO DELL’ABISSO

 

Non è bastato ai mercati il crollo di settembre ed ottobre per scaricare tutta la negatività e consentire un rimbalzo degno di tal nome.

L’indice americano più significativo, SP500, ha segnato un minimo il 10 ottobre a quota 840, pericolosamente vicino ai minimi del lontano ottobre 2002 (768). In tal modo il mercato ha dimostrato di riuscire in un anno ad annullare i progressi di ben 5 anni.

L’ampiezza del ribasso e il forte eccesso ha causato una reazione tecnica, che però, sebbene ampia, non è riuscita ad invertire il trend, per cui dopo un recupero fino a 1.044, il mercato è tornato a ritestare il supporto il 27/10. Il test non ha portato fortuna ai ribassisti, per cui si è sviluppato un secondo rimbalzo, stimolato dalla scommessa elettorale sulla vittoria taumaturgica di Obama, che ha spinto il mercato nuovamente verso il massimo relativo di 1.044. Ma neanche stavolta è stata quella buona, poiché la durezza dei dati macroeconomici e societari che ogni giorno arrivano sul desktop dei traders, ha fatto ancora una volta ripiegare l’indice verso i supporti.

Ora siamo nuovamente alla resa dei conti. Uno sfondamento di quota 840 potrebbe portare velocemente a raggiungere l’obiettivo di area 770, dopo di che potremmo assistere al rimbalzo.

Ritengo tuttavia più probabile una tenuta del livello di 840, con conseguente sviluppo di un ennesimo rimbalzo all’interno del trading range 840 – 1.040.

Solo una uscita da questo intervallo sarebbe in grado di fornire direzionalità.

Per avere una ripresa non effimera occorrerà anche che si riduca la volatilità, con una decisa moderazione dell’indice VIX ed un rientro al di sotto di quota 50, superata stabilmente da circa un mese.

L’obiettivo del rimbalzo, una volta superata l’area 1.040, potrebbe essere significativo, magari anche al di sopra di 1.200.

 

Per vedere il grafico seguire il link: http://www.borsaprof.it/analisi_grafiche.asp?id=15

 

ATTENZIONE: l’investimento in borsa è rischioso, il lettore si assume piena responsabilità delle proprie scelte economiche e finanziarie, consapevole dei rischi connessi a qualsiasi forma di investimento in strumenti finanziari.

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